L’utilizzo del mezzo di contrasto (m.d.c.) in TC presenta delle problematiche note da diverso tempo quali la possibilità di reazioni avverse (per altro sempre più rare con i moderni mezzi di contrasto) e reazioni di tipo chemiotossico, di cui la più importante è la CIN (Contrast Induced Nephropathy). Per questi motivi l’utilizzo del m.d.c. deve essere attentamente valutato, soprattutto in pazienti allergici e/o con ridotta funzionalità renale. Recenti studi hanno però ipotizzato un ulteriore rischio connesso al m.d.c., ovvero una sua possibile amplificazione del danno provocato dalle radiazioni ionizzanti.

Una prima indicazione proviene da un articolo pubblicato su Radiology nel 2009 da Grudzensky e collaboratori che evidenziarono un incremento di doppie rotture di filamenti di DNA (double-strand breaks) in linfociti periferici prelevati dal sangue di pazienti esposti ad esami di tomografia computerizzata con l’utilizzo di m.d.c.. Tuttavia, dato che l’alterazione del DNA di linfociti periferici non conduce a cancro, non era possibile dimostrare una diretta evidenza tra m.d.c. e incremento dell’incidenza di cancro.

Effettuare una stima diretta del danno da radiazioni ionizzanti a basse dosi non è semplice, in quanto sarebbe necessaria un’ampia popolazione che consenta di evidenziare piccole variazioni del rischio e un follow-up di decenni a causa dei lunghi tempi di latenza. Per questo, negli studi considerati è stato utilizzato un biomarcatore di esposizione: è stata effettuata una quantificazione dei foci dell’istone fosforilato H2AX, che rappresenta un metodo sensibile per misurare il danno al DNA (in termini di rottura a doppia elica) all’interno di un range di dosi rilevanti da un punto di vista clinico. La valutazione della fosforilazione è stata effettuata su sangue periferico prima e dopo irradiazione, in vivo o in vitro.

Un successivo lavoro pubblicato nel 2012 (Cristoph et al.) ha analizzato la possibile influenza del mezzo di contrasto utilizzato, dimostrando che l’amplificazione del danno delle radiazioni sul DNA causato dall’aggiunta del m.d.c. risulta indipendente dal tipo di m.d.c. utilizzato. Una possibile ragione di tale incremento è probabilmente legata al fatto che il mezzo di contrasto presenta un elevata densità, portando quindi ad un maggior assorbimento di raggi X (per effetto fotoelettrico) rispetto ai tessuti corporei e quindi la generazione di un maggior numero di elettroni secondari. Tale effetto risulta indipendente dal tipo di m.d.c. utilizzato, mentre aumenta considerevolmente all’aumentare della quantità di iodio iniettata.

Il più ampio studio effettuato risulta da oggi quello condotto Piechowiak e collaboratori nel 2015, che è stato condotto su 245 pazienti (66 eseguirono una TC senza m.d.c., 179 una TC con m.d.c.). Gli studiosi hanno dimostrato che il numero di alterazioni cromosomiche negli esami con m.d.c. era il doppio di quelle osservate in esami TC senza l’aggiunta di m.d.c..
Sebbene ad oggi non esista uno studio che documenti la correlazione tra incremento dei foci γH2AX ed aumento del rischio di sviluppare un tumore radioindotto, i risultati di tali studi devono essere tenuti in seria considerazione e l’impiego di MDC nelle procedure mediche dovrebbe essere valutato ancora più accuratamente. Per approfondimenti consultare la seguente bibliografia.

Bibliografia

  • Grudzenski S, Kuefner MA, Heckmann MB, Uder M, Löbrich M (2009) – Contrast medium-enhanced radiation damage caused by CT examinations. Radiology 253(3):706-14;
  • Deinzer CK, Danova D, Kleb B, Klose KJ, Heverhagen JT (2012) – Influence of different iodinated contrast media on the induction of DNA double-strand breaks after in vitro X-ray irradiation. Contrast Media Mol Imaging 9(4):259-67;
  • Piechowiak EI, Peter JF, Kleb B, Klose KJ, Heverhagen JT (2015) – Intravenous Iodinated Contrast Agents Amplify DNA Radiation Damage at CT. Radiology 275(3):692-7;
  • Berrington de Gonzalez A, Kleinerman RA (2015) – CT Scanning: Is the Contrast Material Enhancing the Radiation Dose and Cancer Risk as Well as the Image? Radiology.275(3):627-9.